“Parlo… ma perché parlo?!”
“Ecco, appunto, nun parlà, magnate ‘a lingua!”
Mandrake e il Pomata rispondevano così all’avvocato De Marchis nel mitico Febbre da cavallo. E così noi, che parliamo e poi ci chiediamo… ma perché parliamo?!
Non è affatto una domanda retorica anche se potrebbe sembrarlo.
L’argomento di oggi è il raccontare. Non in generale ma più specificatamente nell’ambito della comunicazione e, più specificatamente ancora, nell’ambito della comunicazione dei Gualandi.
Insomma parliamo dello storytelling, di quanto lo facciamo, se ha un senso per noi farlo e fino a che punto può averlo.
Qui fra i Gualandi non c’è nessuno che proviene da studi di marketing, quindi attenzione possiamo dire solo quello che abbiamo capito noi, sperando di ricevere le vostre impressioni, anche se dovessero alla fine dimostrare che non abbiamo capito proprio un bel niente!
Dato un prodotto, e date anche per buone tutte le sue caratteristiche intrinseche di qualità assolutamente non scontate, qual è il modo migliore per far conoscere questo prodotto agli altri?!
Una domanda che mette subito in agitazione mondi indescrivibili di teorie e strategie con un denominatore comune: sono tutte un grandissimo sbattimento!
Che non ci sia niente di facile lo sappiamo e lo sappiamo così bene che una cosa ce la siamo sempre detta: non aumentiamo il grado di difficoltà inutilmente, ad esempio puntando su strategie di marketing che non ci somigliano.
E’ inutile puntare tutto, chessò, sul porta a porta se a chiacchiere poi non intortiamo neanche un bambino oppure solo sui video perché lo fanno tutti ma noi non riusciamo a girare neanche il filmino del compleanno di Giovanni (quest’ultimo caso è piuttosto grave, per ora rimediamo con qualche santa app di video editing ma ci piacerebbe studiare un po’).
Insomma, sbattersi per sbattersi, facciamolo su qualcosa che ci somiglia e con cui potremmo anche prenderci gusto. Così abbiamo accordato il via libera ad una comunicazione che faccia, o vorrebbe fare, molto affidamento sullo storytelling.
Con questo non vogliamo certo dire che siamo bravi a farlo, anzi. Il nostro storytelling, diciamocelo, è molto casalingo, nel senso che dopo aver fatto lo scorso anno una serie di consulenze su diversi aspetti della nostra comunicazione, ci siamo poi rimboccati le maniche e siamo andati da soli.
Il concetto cardine della nostra comunicazione è stato: non raccontiamo solo i prodotti, raccontiamo il dietro le quinte della nostra produzione artigianale spingendoci anche a parlare un pochino di noi. Un pochino, badate bene, i soci maschi hanno concesso solo un pochino, quindi senza lunghe sessioni di bischerate nostre. Ci limitiamo ogni tanto a fare capoccella, per vergogna e per pudore. Il tono che abbiamo scelto è stato un po’ cazzone e un po’ erudito, un mix che ci permette di variare in un range ben definito di contenuti, che ci piacerebbe presto ampliare, e modi di trattare tali contenuti. Il risultato è fornire un’interpretazione dei nostri prodotti in linea con i Gualandi, alla portata della parte migliore di noi, quella che ambisce, desidera, sogna, gioca, costruisce e ogni tanto cazzeggia!
Detto ciò più volte abbiamo avuto il dubbio di aver sbagliato tutto, di aver sommerso di bla bla i prodotti, di aver concesso troppo nell’entertainment. Quando ci confrontiamo vediamo brand di design o di fashion, anche piccoli, che si allineano, chi più chi meno, verso una comunicazione spiccatamente visuale, poco testuale, indiretta e non umanizzata. Dobbiamo cambiare registro allora per crescere?
Pur non avendo del tutto escluso di provare ad affacciarci su qualche scenario spiccatamente fashion e in qualche contesto marcatamente di design, abbiamo deliberato alla fine di perseverare sulla nostra strada senza privarci di un’attività, come lo storytelling, che per noi non è solo strumentale ma anche di estremo piacere e profonda compensazione.
Vi continueremo insomma a trasmettere parole, con o senza nessi stringenti ai nostri oggetti, perché le parole per noi non sono solo un mezzo. A volte sono una compensazione (se un forno viene male, un fornitore ritarda, un malumore persiste), a volte sono un supporto (per ampliare lo spettro delle informazioni).
Altre volte ancora le parole sono evidentemente semplicemente un fine se, in fondo, ci prende così bene impiegare giornate per elaborare qualche testo dedicato anche solo a pochi lettori affezionati.