Renato ha dormito un’ora la notte fra il 3 e il 4 agosto del 2010. Ha scelto di godersi tutta la sua ultima notte da scapolo e il giorno dopo… si vedeva.
Io ho lavorato fino a pochi giorni prima. I discutibili deejay e fotografi ringraziano.
Ci siamo sposati 8 anni fa in un piccolo borgo medievale alle porte di Roma, Santa Maria di Galeria, in una chiesetta risalente all’XI secolo costruita sui resti di una cisterna romana.Ma la nostra storia potrebbe iniziare mooooolto più lontano, con il più classico degli incipit:
C’erano una volta, in una grande scuola rossa sulla via Trionfale, Tania e Renato, due bambini di sei anni che capitarono nella stessa classe alle elementari. Non potevano sapere, anche perché per lo più si ignoravano ai tempi, che un giorno sarebbero diventati marito e moglie.
No, non potevamo saperlo, sono dovuti passare oltre 20 anni da quel giorno a quando, in una serata primaverile, a Testaccio, iniziasse una delle storie meno prevedibili e scontate della storia.
Gli amici la davano tutti 10 a 0.
“Nooo, stai ancora con Tania?!”
“Nooo, stai ancora con Renato?!”
Mi sembra ancora di sentirlo questo ritornello!
Eccoci qui dopo diciassette anni di cui dieci di fidanzamento, tre di convivenza, otto di matrimonio e tre anni di Giovanni.
Messa così ci sarebbe da festeggiare ogni giorno se solo ci fermassimo a riflettere su quanto abbiamo costruito. Invece pensiamo ad altro, a volte male, a volte troppo in fretta, siamo distratti oppure pensiamo solo a quello che vorremmo ancora costruire e finisce che diamo tutto per scontato.
Lo facciamo oggi, festeggiamo con voi, mettendo nero su bianco un po’ di fatti nostri tanto per cambiare, perché la riflessione finale, la morale anticipata di questo post è che le cose davvero speciali, secondo noi, sono quelle normali, banali, ovvie e scontate. Che abbiamo fatto noi in questi anni?! Ci siamo amati, a modo nostro. Banale, eh?! Già, ma io sono sempre quella che, vent’anni fa con Baglioni e oggi con i The Giornalisti, di fronte a struggenti canzoni di stupide storie d’amore ha comunque la pelle d’oca.
C’era un programma su Rai Tre che mi piaceva tanto, si chiamava “Sconosciuti”. Magari ora mi dite che lo fanno ancora e io cado dalle nuvole, semplicemente non guardo più la tv da tre anni. Insomma, era un programma che parlava di cose ovvie, di vita qualunque, come quella di una coppia che emigra, del portiere della via accanto con quattro figli o della maestra di Giovanni di origini inglesi e tedesche. Gente normale, così tanto normale da essere speciale. Provate voi a chiedere, così, ad una persona qualunque che incontrate per la strada: “scusi lei, cosa ha fatto nella vita?!” vedrete che romanzo esce fuori che Il Codice da Vinci levati proprio!
Gli ultimi diciassette anni della nostra vita, mia e di Renato, effettivamente potrebbero dar vita ad un bestseller pieno di cose infingarde!
Cosi, fra le cose che abbiamo fatto, ci sono: vacanze ad agosto in un vecchia Panda in Calabria (prima di “dire embé?!” provatevi voi!), ballato da soli in un bosco, dormito per terra, condiviso magliette bianche, fatto partenze alle 5 del mattino per dipingere sulla spiaggia di Fregene, litigato fino a sederci per terra sfiniti, promesso cose alle tre di notte sotto casa, trascorso serate noiose sul divano, collezionato vinili anni ’60, attaccato mensole dell’Ikea ovunque, lavorato da dipendenti, aver pensato di lasciarci, immaginato Giovanni, staccato mensole dell’Ikea ovunque, scambiato libri, scambiato baci, scambiato rimproveri, incastrato appuntamenti dal dentista, dal dermatologo, dall’oculista, dal gastroenterologo, perso il lavoro, sfogato ansie, gridato rabbia, stretto la cinghia su tutto, mangiato senza lattosio e rinunciato ai crostacei, messo a confronto retaggi culturali, sottovalutato complicazioni e conseguenze, preparato cene e lavato piatti a turno, pagato bollette, progettato di tutto, dal cassetto dei medicinali al porta birra da muro, confessato debolezze, onorato promesse, scommesso tutto sui nostri sogni.
Ce n’è abbastanza anche solo per un racconto ai nipoti perché io i racconti che i nonni mi hanno fatto li ricordo tutti. E quanto desideravo sentirli! Storie di tutti i generi, drammatiche, divertenti o entrambe le cose insieme. Mi rammarico sempre di non aver creato un archivio audio di voci antiche e fatti lontanissimi. Loro sapevano raccontare benissimo. Anche i piccoli avvenimenti erano imprese epiche, senza ricorso ad alcun effetto speciale.
Oggi, se fossero qui, gli farei registrare un vocale su whatsapp e poi lo metterei in loop come intermezzo alle mie paranoie moderne.
Perché siamo storie, nient’altro.
E più decidiamo di vivere, con la persona che scegliamo, con gli altri, nel rispetto di quello che siamo o vorremmo essere, possibilmente sempre un po’ migliori, anche cadendo, sbagliando, giocando, non mollando mai, più la nostra storia ci farà sognare.
Quando con Renato abbiamo iniziato a fare Officine Gualandi abbiamo capito che c’erano un macello di ragioni per cui scommettere su questa strada per quanto impervia, tremendamente impopolare in tempi di crisi economica, instabilità, velocità di consumo. Saremo piccoli, lenti, poco performanti ma quello che produciamo ci somiglia, ci interpreta meglio di un traduttore simultaneo ad una platea di cinesi, ci fa da estensione corporea quando non ci siamo, fa parte della nostra storia.
La nostra storia.
Buon anniversario a te, che sei quello che brontola continuamente, trascina le ciabatte, mette sempre la biancheria sporca nel cesto sbagliato.
Buon anniversario a me, che sono quella che lascia sempre qualcosa nel piatto, lancia i calzini la sera, non ricorda mai un nome o una data.